venerdì 17 ottobre 2014

Libri: Bulli e bambini

Carissimi amici del venerdì del libro, riceccoci all'appuntamento settimanale con i consigli di lettura.
Oggi affronterò un tema non semplice: come si reagisce quando le maestre avvisano le famiglie che nella scuola (o peggio nella classe) dei propri figli ci sono fenomeni di bullismo o segnali che li fanno presagire?

Dopo un primo momento di chock (si sa, come dice mio marito, "è sempre capitato", ma non è che questo rassicuri, anzi...), mi sono orientata sull'utilizzare gli amati libri come strumenti di dialogo.

Ho chiesto anche ad alcune di voi di darmi consigli, e ho in mente di radunare in un post tutti quelli già arrivati insieme a quelli che oggi vorrete lasciarmi.
In questo post vi mostrerò i primi libri reperiti nella biblioteca cittadina, in attesa di trovare quelli della mia lista, mi son fatta consigliare dalle bibliotecarie che mi dicevano di non avere molto (saranno molto prestati, suppongo). Oggi leggerete un post di lettura critica, che però vuole esser costruttiva, sul primo libro e di apprezzamento sul secondo.

Partiamo con quello destinato ai più piccoli (fascia prescolare), più dell'età di eSSe, che va per i 7 ed è  in seconda elementare, che non mi è piaciuto a partire dal titolo della collana:

Così non si fa: Non fare il bullo, Marcello! di Phil Roxbee Cox, illustrazioni Jan McCafferty, traduzione E. Ranzoni, USborne.  

Vi anticipo che trovo pedagogicamente molto discutibile intitolare una collana "Così non si fa", e, purtroppo, il contenuto è assolutamente in linea l'approccio che Alice Miller - psicologa che si è occupata di approcci educati costruttivi e di ricercare l'origine della violenza nella società - definirebbe di "pedagogia nera"- giudicante in modo distruttivo, che contempla la *violenza educativa* fisica e psicologica, poco interessato ad andare alla fonte dei problemi -, che io personalmente non condivido, voglio sperare pesi il fatto che è un libro che ha oltre 10 anni.

La quarta di copertina calca il concetto: 
"Una storia per crescere, adatta tutti i bambini, che mette in guardia sul pericolo di non ascoltare gli altri e fare sempre solo ciò che si vuole". 
Agghiacciante, ora capirete, dal mio punto di vista, il perché. 

Nel libro Marcello non è un bambino prepotente, ma pur sempre un bambino della materna, come ce lo immaginiamo guardando le illustrazioni (dalla copertina immaginavo mi venisse presentato un bimbo che ha tante, troppe, energie che non sa canalizzare, un bimbo che potrebbe avere problemi a casa ed esserne espressione con i suoi comportamenti aggressivi, un bimbo vittima di altri bulletti che a sua volta ha imparato questa modalità e la ripropone, ma pur sempre un bimbo molto piccolo, con tutta una vita davanti per rientrare in dinamiche più costruttive). No: ci viene presentato un vero bullo, fatto e finito, violento e calcolatore, cui non si fa nemmeno un processo sommario, si parte descrivendolo come un cattivo doc, uno che scientemente fa le peggiori cose: individua e prende di mira i più deboli, se la prende con chi ha gli occhiali, chi ha la pelle di un colore diverso, con le bimbe, con i timidi, c'è persino il disegno di una bimba in carrozina nella raffigurazione delle vittime, pare la saga degli stereotipi. Mentre l'insegnante incurante guarda altrove (e io mi chiederei anche perché, sinceramente, vista l'età dei piccoli illustrati e cui è indirizzato il libro) lui strattona, butta a terra, solleva di peso (!), segue in vicoli nascosti per perseguitare, butta la faccia nella zuppa a mensa, ruba i giocattoli... 
 
Continuamente viene ripetuto come un mantra (negativo, etichettante, che sicuramente non giova) "Marcello non fare il bullo!" Cosa che ovviamente non sortisce risultati, Marcello ha un ghigno che non è proprio facile immaginare sul viso di un bimbo piccolo.
I bimbi sono chockati, nessuno reagisce, puntano a scappare. Finché Marcello non punta un nuovo arrivato, che sta sempre sulle sue. Lo pedina e gli ruba un gioco, lo provoca e il nuovo arrivato che è un po' più sicuro e forte degli altri bimbi chiede aiuto, a suo fratello. Suo fratello è un marziano, arriva con l'astronave e porta via Marcello: problema risolto. Gli altri bimbi prima sono intimoriti e poi commentano che senza Marcello si sta proprio bene. 


 
Non mi è davvero piaciuto questo libro: nessun approccio costruttivo, il bimbo è senza recupero dall'inizio della storia (un bimbo, per di più piccolo, può esser considerato da un adulto - quello che ha scritto il libro - senza recupero?), la soluzione del problema è rimuovere il problema, si estirpa il "cattivo", come un'erbaccia, con la forza, e dopo si sta tutti bene. Altra cosa che non mi è piaciuta: nessuno ha chiesto aiuto agli adulti. Il maestro, troppo preso nei suoi pensieri o compiti non osservava i bimbi, quindi non viene rappresentato come un interlocutore di fiducia, non c'è nemmeno alcun accenno al parlarne a casa. Non è il genere di messaggio che voglio recepisca mia figlia: non voglio cresca con l'idea che "deve SOLO cavarsela da sola", fino a quando "un potente" arriva e agisce da vendicatore.

Il pregio di questo libro, motivo per cui ve ne parlo, è che mi ha permesso di capire come la pensa lei su certi temi: q
uando le ho chiesto cosa pensasse del finale, ha risposto che in effetti senza Marcello quei bimbi sarebbero stati bene e che era giusto che venisse punito: era tutto il libro che si comportva malissimo! Poi ho anche capito che lei è in grado di distinguere una situazione grave, di rischio per i bimbi, e quando non siamo più nella sfera del gioco ma c'è un comportamento "sbagliato", cosa a mio parere importante. 


Mettendo da parte il mio giudizio negativo, ho trovato altri spunti interessanti: è un extraterrestre a risolvere la situazione, questo fa riflettere sul fatto che quando la situazione diventa grave serve un aiuto esterno, super partes (il marziano arriva in volo con una navicella spaziale). E poi questo libro probabilmente aiuta noi adulti a capire come ragionano, come reagiscono, i bambini, è in soggettiva, rispecchia il loro punto di vista. Loro sono bloccati, non pensano a chiamare il maestro o a parlarne a casa, sono troppo spaventati e preoccupati per ragionare come faremmo noi su cosa sia più giusto fare, e forse nemmeno sono in grado di capirlo. Mi ha fatto molto riflettere.




Il secondo libro di cui vi parlerò è Il bulismo, illustrazioni i Naomi Tipping a cura di tango Books LTD, in Italia stampato da La Nuova fonrteiera, tradotto da M. Corsi.


Questo libro, pop up, è destinato invece ai preadolescenti, bambini più grandi di mia figlia, anche delle medie a mio parere in base al tipo di situazioni illustrate. Disegni meno infantili, rappresentano bambini e ragazzini di almeno 10/13 anni, in situazioni tipiche di bullismo.
Anche questo libro parte dal dato di fatto che si ha a che fare con dei bulli: il primo pop up si apre in altezza, il bullo è imponente e fa paura, sguardo cattivo, pugni pronti a colpire, il lettore è subito messo davanti all'evidenza dei fatti. La seconda pagina si apre in larghezza, a definire la vastita del fenomeno: tanti bulli e bulletti, anche quegli "amici" che ti parlano alle spalle, che ti deridono, che hanno l'indice alzato per additarti quando sei in difficoltà, che stigmatizzano le tue insicurezze. Si procede con la spiegazione che un bullo può ferirti con l'uso della violenza fisica, ma anche con quella psicologica. Tanti esempi, sempre pop up, dal "secchione" preso in giro, alla ragazzina cui tirano i capelli nei bagni, da brutti ceffi che ti aspettano in due dietro un angolo buio per picchiarti, a chi prende in giro per un difetto fisico, o un handicap. Anche in questo libro c'è un'ampia panoramica di casistiche da stereotipo, però con tutt'atro atteggiamento, qui non si giudica, si fotografa, si offrono spunti per capire, per dialogare, per spiegare a chi legge - presumibilmente un bambino da solo - cosa sia un comportamento da bullo e cosa uno da vittima. C'è una bellissima pagina in cui si raffigura il bullo con una maschera da tigre, ma sotto si apre una finestrella che mostra un bimbo, anzi una bimba, che ha tanta paura e si pone così per non farlo vedere. Si suggerisce di non farsi spaventare, i bulli sono bambini / ragazzi come i lettori, a volte li si immagina più forti di quel che sono. C'è poi il ritratto del bullo e della vittima, che con le sue insicurezze e paure porge il fianco.


C'è ampio spazio per descrivere le tante strategie per sottrarsi al bullismo: parlarne con mamma e papà, che saranno comprensivi e accoglienti, cercare insegnanti ed amici di fiducia, fare gruppo tra persone prese di mira, non sentirsi vittime. E se non basta un numero verde antibullismo.


Avevo perplessità a farlo vedere a mia figlia, temevo si spaventasse, che fosse troppo piccola per un approccio così diretto. Invece no, questa lettura mi ha permesso di capire meglio cosa succede a scuola e dare una dimensione al problema che inizia a profilarsi. 
Mi è piaciuto di questo libro l'approccio sempre costruttivo e che va oltre alle apparenze, non c'è intento di minimizzare (pericolosissimo, mina ancora più l'autostima delle vittime, le fa sentire inadeguate e incapaci), né critica sterile e moralismo, c'è una fotografia non giudicante di situazioni reali, i carnefici, si fa notare, possono esser anche vittime, ci sono spunti per imparare a proteggersi, per risolvere da soli, o capire quando chiedere aiuto e a chi.
La grafica è coerente con la fascia d'età cui è diretto il libro. 

Può esser utile per fare prevenzione, per aiutare a riconoscere e ridimensionare  certi fenomeni sul nascere, è il tipo di libro che cercavo, anche se inizialmente pensavo a qualcosa di diverso.

Che fatica, vero, esser genitori?

Avete libri da segnalarmi? Esperienze da condividere? 
Grazie in anticipo. 
E buon fine settimana. 


Gli altri Venerdì del libro sul mio blog sono qui.
Qui potrete trovare quelli di Homemademamma che ha avuto questa meravigliosa idea,
le istruzioni per partecipare all'iniziativa e i link agli altri blog che hanno aderito.
Su Pinterest tante board con le recensioni di tutti i partecipanti



13 commenti:

  1. Il tema non ci ha fortunatamente ancora toccato direttamente, ma all'interno del comitato genitori il progetto che verrà portato avanti sarà proprio relativo al bullismo. Vediamo come si evolverà la cosa e se salterà fuori qualche testo interessante te lo faccio sapere.
    PS: neppure a me sarebbe piaciuto il primo libro...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. @Daria: fate benissimo! Grazie, attendo titoli e spunti :)
      re ps: sono andata a vedere gli altri titoli della collana, spero vengano presto archiviati perché dire distruttivi è riduttivo. :/

      Elimina
  2. Non lo so. Il primo libro sicuramente ha un finale che non mi piace, ma "così non si fa" non è un concetto, io credo, che nella società di oggi si debba sorpassare con non chalance, dal momento che, lo dico da educatrice, ma anche da zia, in questo momento l'infanzia sembra crescere piuttosto con il concetto del "si può fare tutto, ma suvvia". E, da questo punto di vista, confesso che mi sento sempre più hegeliana: dopo il momento di tesi vittoriana (che è durato fino al '68) e quello di antitesi sessantottina, io credo che una buona sintesi possa essere proprio che talvolta non si fa, e punto, perché un adulto, cioè un educatore, qualcuno che ha più esperienza, dice no, e basta. E poi magari perché lo capirai più tardi, ma ora è altrettanto importante imparare limiti, confini, paletti. Che così non si fa perché l'educazione, quella delle brave mamme (cit. da un modo di dire mio e del narratario), precede anche un po' di assertività, talvolta, vivaddio.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. @povna: grazie per questo commento che mi permette di chiarire il mio pensiero, ieri ho pubblicato di gran fretta e non avevo neppure avuto tempo di rileggere dovendo uscire prima del previsto. Ovviamente io non sono a favore dell'approccio permessivista, è davvero poco realistico pensare che ci siano solo due opzioni, ai due estremi, ovvero scaricare ai bambini le proprie responsabilità o in alternativa un approccio totalmente autoritario e marcatamente moralista (questo è il taglio della collana, prova a googolare e leggere le altre schede e te ne renderai conto, e parliamo di libri per la materna!).
      Io (purtroppo) sono una mamma molto assertiva, tanto che mi sono impegnata addirittura facendo corsi per acquisire competenze che mi permettessero di esserlo meno, in ottica costruttiva e mantenendo le mie responsabilità di adulto ovviamente.
      Quello che non mi piace è proprio il "non si fa (punto)" rispetto al target e non è un "una tantum" (l'intervento nel momento topico o di rischio, che poi però deve avere in un momento tranquillo un'appendice educativa), ma è proprio una linea educativa. Con bimbi così piccoli un divieto secco ha poco senso, è solo una scorciatoia che solleva gli adulti dal loro ruolo edicativo e di trasmettere ai bambini dei valori, manca totalmente l'impegno di dare ai piccoli strumenti per imparare a comportarsi, specialmente quando un adulto non è presente come in tutti i momenti in cui il "bullo" (bambino espressione di cosa gli hanno o meno insegnato) agisce. Quando un bambino di 3/5 anni (la fascia target, quella in cui si acquisiscono importantissime competenze di relazione) morde un coetaneo - stiamo parlando di bambini, normalissimi, che hanno dentro sentimenti che non sanno gestire - non impararà nulla da un "così non si fa", salvo forse che l'adulto ha poco tempo da dedicargli. Il morso è una richiesta di attenzione dell'adulto, che deve intervenire e spiegare perché non si fa, e cosa si può fare in alternativa quando si vogliono attenzioni, quando si hanno sentimenti "grandi" dentro, quando ci sono conflitti. A peggiorare questa carenza educativa, segue il "se no verrai punito (punto)", che porta sì alle conseguenze che oggi ci preoccupano in certi ragazzi e adulti di oggi ("non c'è certazza della pena, quindi faccio quel cavolo che voglio..."): io voglio che mia figlia impari a discernere cosa può fare e cosa non, e questo non in base ad un divieto o alla paura delle punizioni (strumento inefficace quando non è certo), ma in aderenza a dei valori che voglio trasmetterle.

      Il tema è complesso, spero di esser riuscita a spiegare il mio punto di vista.

      Elimina
  3. Ps. Sui consigli di lettura, ci ho pensato in questi giorni, e credo che potresti trovare davvero bello La classe volante di Erich Kaestner, che tratta il tema in maniera intelligente e laterale, ma nello stesso tempo cruciale.

    RispondiElimina
  4. *pro "precede" lege "prevede" of course.

    RispondiElimina
  5. Molto interessante la vostra discussione. Certo che la pedagogia è una scienza complicata! :-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Complicatissima Silvia! Per ogni fascia d'età cambiano i parametri, cambiano gli input, cambiano gli strumenti che servono, cambiano i pesi delle influenze (famiglia, insegnanti/educatori, pari, altri riferimenti), cambia tutto!

      Elimina
  6. Credo che sia un argomento tanto delicato quanto attuale e che non sia nemmeno semplice affrontare e mettere su carta (tra le pagine di un libro). Certo è che si tratta di situazioni fin troppo comuni - anche se non in modo magari così palese come avviene nel primo libro - e che l'argomento va necessariamente trattato... Sui consigli di lettura onestamente non sono preparata ma ci penso...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Stefania. Se ti viene in mente qualcosa dimmelo :)

      Elimina
  7. Grazie per l'approfondimento di dibattito, che qui da te è sempre prezioso. Condivido ciò che dici in larga parte, come immagini. Ciò nonostante, credo anche io in parte, come Stefania, che la carta e le storie abbiano una funzione educativa che, spesso, si evince con mezzi altri da quelli della pedagogia argomentata. Non è questo il caso, da come descrivi il libro, ma è un fatto che molto spesso una buona storia per essere tale NON è politically correct, né educativa nel senso che il sistema culturale storico di riferimento darebbe all'aggettivo, perché segue altri parametri estetico-artistici che (grazie al cielo, aggiungo io) prescindono dalle spataffiate (spesso molto sopravvalutate) di pedagogia. Se no rientriamo nello zdanovismo, o nel mito dell'intellettuale organico, due ideali interessanti dal punto di vista della storia della cultura ma che certo non hanno prodotto i maggiori capolavori letterari, perché, appunto, la letteratura di valore è per definizione anti-sistema.
    In assoluto, la mia esperienza di bambina è stata quella di ricevere dei no molto pacati nei toni ma altrettanto immotivati nelle ragioni quando ero fino a 6-7 anni: era no perché me lo dicevano agenti educativi autorevoli dei quali mi era chiesto di fidarmi a priori e dei quali si dimostrava la fiducia nell'essersi affidati ex post. Un'educazione tardo-vittoriana, oppure molto New England (da dove veniva, in entrambi in casi, una parte della famiglia), se vuoi: i bambini fanno i bambini, gli adulti fanno gli adulti, i due mondi sono anche separati, ma quando si uniscono è abbastanza chiaro che le esigenze degli adulti vanno rispettate (esempio. a casa di mia nonna noi cugini mangiavamo da soli e separati dalla tavola dei grandi, avevamo grandi spazi di libertà di gioco e movimento da soli in giardino, ma nello stesso tempo le poche regole che c'erano si rispettavano perché c'erano e, per dire, se mangiavamo alla tavola dei grandi per alzarsi si chiedeva il permesso al decano, e se diceva sì si ringraziava e ci si alzava se diceva no si stava fermi e punto). Poi, quando sono cresciuta, quegli stessi adulti di riferimento hanno ripreso punto per punto alcuni di quei no, e, se del caso, sono stati argomentati. Ma nella maggior parte dei casi non ce ne era più bisogno, perché io stessa crescendo li avevo capiti e compresi, ottenendo il doppio risultato di essere prima rassicurata dai paletti, che rassicurano i bambini (e anche gli adolescenti) e poi di fare un ottimo e autonomo lavoro di induzione su quelle stesse negazioni.
    Ecco, io coi miei alunni cerco di fare così. I primini hanno molte regole e divieti, e non sempre io trovo che sia educativo argomentarli. Sanno che tutte le regole sono enunciate in anticipo e non cambiano in corso di opera, ma sanno anche che l'adulto di riferimento educativo sono io, e che, per statuto, io non ho un dovere né contrattuale, né, ciò che più importa, pedagogico, di spiegare tutte la rationes di quelle regole. Quando crescono, poi, e me li trovo in giro come ex alunni oppure alunni, come nel caso dei Merry Men, sono loro stessi a riprendere quei tempi e a capire il perché e il per come di cose che non erano state spiegate, e a dirmi - ciò che più importa - quanto sia importante che non lo siano sempre, spiegate, perché l'assertività dà rassicurazione.
    Ma ovviamente il discorso esula dal bullismo, che è questione delicatissima. Anche se, quanto meno in contesto scolastico, un sistema che vive della presenza integrata di adulti e ragazzi e/o bambini, io credo che la presenza dell'adulto sia necessaria e che i ragazzi si debbano abituare non a cavarsela da soli col bullo, ma, viceversa, a chiedere aiuto.
    Grazie come sempre di tutti gli spunti, cara.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie 'povna per lo scambio sempre costruttivo, i tanti spunti, e la pazienza per la risposta. Attendevo un momento calmo con una tastiera davanti, anche perché ho perso una risposta molto articolata che avevo scritto subito dal cellulare ed è scomparsa quando ho cliccato per pubblicare... (uffa!)

      Sintetizzando: 3 anni non sono 6, non sono 11, non sono 14... Le tue parole - è molto bello e rassicurante sapere come operi a scuola - confermano un'idea che i sono fatta: all'inizio di ogni ciclo scolastico/educativo in un certo senso occorre ripartire dalle basi, credo soprattutto per ristabilire punti fermi e definire ruoli e quel che ci si aspetta dai bambini/ragazzi, ma le abilità di comprensione dei bambini/ragazzi, nonché la maturazione come individui, cambiano molto per le singole fascia d'età. In particolare l'ingresso alle primarie è uno spartiacque molto importante: dai 5/6 anni (o quando un bambino entra "a scuola") cambia la relazione con gli adulti (come questi si pongono con i bambini), cambiano responsabilità e aspettative, cambiano atteggiamenti e autonomie.

      Più in dettaglio:
      - non sono in grado di seguirti per quanto riguarda l'analisi letteraria, ma leggo e prendo nota con piacere per approfondimenti sul tema: interessantissimo.
      - convengo: un buon libro con storia politically uncorrect può esser molto stimolante, però, io credo, non a 3/5 anni (non hanno ancora la capacità di leggere in modo critico i messaggi) e resto scettica (molto) sulla bontà del "così non si fa (punto)" per quel target.
      - educazione ricevuta e modelli educativi in generale: trattandosi di modalità di relazionarsi ad altri esseri umani non credo esistano ricette sempre vincenti. E' sicuramente bene confrontarsi con quanti più metodi, approcci, altro, possibile, prendere spunti ovunque, ma poi bisogna vedere quel che serve per la singola persona che hai davanti se parliamo di bimbi piccoli (con gli adolescenti e i giovani adulti probabilmente sarà possibie partire da dei punti fermi, ma sicuramente tu avrai notato differenze nelle tue tante esperienze scolastiche e universitarie, a me viene in mente quel che scrivevi durante gli esami di maturità delle differenze nei ragazzi di scuole diverse). Per esempio quel che vale per Tizio può rivelarsi inefficace per Caio: a Tizio e Caio possiamo sicuramente dire che "X non si fa", anche perché per noi quel non si fa non è altro che la traduzione di un valore, ma quando lo scopo é che non lo facciano anche quando non li stiamo controllando a vista, cioè che interiorizzino "che non si fa, punto" e lo considerino un assioma, potrebbero servire spiegazioni ulteriori per uno dei due o per entrambi, dipende da quanti anni hanno, da quali esperienze sul fare X hanno già fatto (comprese eventuali conseguenze del farlo), dal contesto, da quali valori hanno vissuto in famiglia, dal gruppo dei pari che frequentano (più son piccoli più l'effetto gregge è forte)... più enne altre variabili. Se Tizio e Caio hanno 4 anni, non credo basterà un "non si fa, punto" se lo scopo è dotarli di strumenti per crescere. Se ne hanno 7 probabilmente sì. A 12 forse nemmeno serve ribadire che non si fa, e così via...

      Ho odiato i "no, perché no", perfortuna qualcuno poi si prendeva la briga di spiegarmi, a bocce ferme, quando non capivo le motivazioni, fino all'età in cui non è stato necessario.

      Detto questo, sempre più spesso penso "io speriamo che me la cavo", e per come sono io è parecchio destabilizzante...
      Grazie del tempo che hai dedicato a intavolare questo confronto.

      Elimina


Grazie per il tuo commento, le tue impressioni per me sono preziose :-)
È attiva la moderazione.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...